Probabilmente sarebbe stato molto meglio se
l’Italia fosse nata da una rivoluzione. Da una
vera rivoluzione
intendo,
dove in nome di grandi
ideali, una larga parte del popolo si solleva e
combatte. Imbraccia fucili e fa scorrere sangue,
ma alla fine trova la forza di riconciliarsi,
mettendo a fattor comune proprio i valori
fondanti per cui si è combattuto. Di solito
cosette come democrazia, libertà, uguaglianza.
La nostra unità nazionale non nasce con queste
premesse. A una catarsi simile ci saremmo
arrivati oltre ottant’anni
dopo, con la
Resistenza al nazifascismo, che ha fruttato la
nostra bellissima Costituzione.
Ma centocinquant’anni fa le cose non andarono
esattamente così.
L’Italia unita nacque su malintesi,
accomodamenti e interessi di bottega: l’avallo di Garibaldi, repubblicano, a un’unità in
nome del Re; l’esclusione di Roma dal disegno
unitario iniziale; la carnevalata di un Piemonte
che fece finta di non appoggiare la spedizione
del Mille; le mosse ambigue di Francia e Gran
Bretagna; il ruolo tutt’altro che secondario
svolto dagli ambienti massonici. Anche la
sollevazione popolare che seguì lo sbarco a
Marsala a conti fatti fu frutto del malinteso.
Il Generale suscitava, infatti, nelle fasce
popolari attese di riscatto dalla miseria che
furono completamente disattese dall’immediata
“piemontesizzazione” del Meridione.
Gli storici, dunque non io, hanno espresso ed
esprimeranno valutazioni differenti sulla
vicenda.
Quello che però difficilmente si può negare è
come
la nostra unità nasca anche e soprattutto da un
viaggio.
Il viaggio che
Garibaldi
compì attraverso quella che poi sarebbe stata
chiamata Italia Meridionale, allora controverso
Regno in rapido disfacimento. Cinque mesi circa
nell’estate del 1860, da Quarto agli argini del
Volturno e poi, idealmente, su fino a Teano.
Anche se in realtà Teano non fu.
Dunque più che da una rivoluzione, siamo stati
battezzati all’italianità da un
coast to coast morale in cui
idealismo e cinismo si sono mischiati fino a confondersi. Niente a che fare con la
rappresentazione plastica di eroismo con cui ci
è stato raccontato a scuola il Risorgimento. Ma,
ci piaccia o no, la Betlemme dell’Italia moderna
rimane in quel viaggio.
Ovviamente per chi italiano si sente. E
per chi pensa che la nostra unità, per quanto al
momento in ciabatte, sia comunque un valore in
quanto tale.
Io lo penso, ma con un certo senso di
solitudine, vista la pluviale moltiplicazione
degli agnostici della Patria: separatisti,
autonomisti, federalisti, revisionisti,
legittimisti e incazzati vari da nord e da sud.
Nascere da un viaggio, in fondo, qualche
vantaggio ce l’ha. E’ una bella metafora della
vita, intimamente legata all’idea della
metamorfosi e dell’indefinito, che ti porta a
una nazione forse più improvvisata, ma
senz’altro meno pallosa.
Così
mi è venuta voglia di farlo quel viaggio.
Anzi di rifarlo, come se in quell'estate del
1860 ci fossi stato anch'io e adesso volessi
rivedere quei luoghi centocinquant’anni dopo.
Per capire
cosa è cambiato e cosa no.
Per capire
se qualcuno ricorda e che cosa.
Per capire, soprattutto, se n’è
valsa la pena oppure no.
Era un viaggio da fare ai
quaranta all’ora,
perché quando viaggi nelle pieghe della
coscienza, non ci sono autostrade. C’è da
procedere a passo lento, casa ‘intrecciaronoper
casa, su e giù per marciapiedi scoscesi delle
periferie e le strade nodose d’Appennino. Era un
viaggio proletario, da fare senza mettersi in
ghingheri, come sempre quando si vuole entrare
nella
pancia della gente.
E così è stato.
Ho cercato di indossare gli unici occhiali di
cui sono in possesso: quelli del curioso. Senza
alcuna volontà dunque di aggiungere inchiostro
ai fiumi di storiografia scritti a riguardo
della spedizione dei Mille. Ma solo con
l’incomprimibile bisogno di capire dove stiamo
andando. Perché fra distinguo, imbarazzi e
assenze, per i centocinquant’anni del nostro
Paese una festicciola dovremmo riuscire a farla.
Ma per i duecento non darei niente per scontato.
Quindi
una sera di aprile
ho appoggiato il fondoschiena sui
125 cc
di uno
scooter
cittadino. Ho dato gas e sono andato.
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